Sono dedicate ai pazienti e al loro ruolo di stimolo nella ricerca scientifica le manifestazioni che si terranno quest’anno.
In Italia 1.000.000 di pazienti con malattie rare e 900.000 con tumori rari
«È un problema che ha dimensione sociale – spiega Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e genetista di fama mondiale. – Possiamo dire che sicuramente in Italia ci sono non meno di un milione di cittadini che sono affetti da malattie rare, a cui bisogna aggiungere 900.000 persone affette da tumori rari, che in Italia a differenza di quello che avviene in Europa non sono considerate malattie rare».
8.000 le malattie rare, di cui 5.000 rarissime
«Ci sono circa 8.000 malattie rare, 5.000 sono rarissime con un rapporto inferiore a una persona malata su 1.000.000. Ne consegue la difficoltà di trovare esperti, punti di riferimento, ricerche avanzate, prese in carico risolutive che portano le famiglie nella solitudine e nella disperazione».
La situazione italiana è tra le migliori in Europa
«Partendo dal Piano Nazionale 1998/2000 che per la prima volta ha parlato delle malattie rare e la Legge del 2001 che ha identificato il primo gruppo di malattie rare, l’esenzione del ticket e la Rete Nazionale è venuto fuori un ottimo lavoro seppur molto variegato, perché la sanità è su base regionale, che ha creato 196 presidi, che sono quelli che in Europa chiamano centro esperto in malattie rare».
La rete italiana è capillare
«Abbiamo creato una rete capillare che non ha equivalente a livello europeo. Come controprova il 9/10 marzo partiranno le Reti di Riferimento Europee per le malattie rare a Vilnius, in Lituania, dove l’italia sarà fortemente presente. Questo è un riconoscimento del lavoro che abbiamo fatto. Sarà importante perché ci confronteremo e implementeremo la ricerca».
Il problema dei pazienti senza diagnosi
Nei nuovi Lea sono state introdotte nuove malattie rare. «Io da sempre sono critico nei confronti degli elenchi – spiega Dallapiccola – perché per definizione sono vecchi già il giorno dopo. Si scoprono continuamente nuove malattie rare con la conseguenza che c’è sempre qualcuno fuori dall’elenco. Non dimentichiamoci dei pazienti senza diagnosi: uno su tre dei pazienti rari è un paziente senza diagnosi. Il 90% di loro ha una condizione che è geneticamente determinata. Immaginiamo la disperazione di una persona che sta male e non sa neppure che malattia abbia. Non sapendo il nome della malattia non si può accedere ai Lea».
I farmaci orfani
I farmaci orfani sono quelli che non sono convenienti dal punto di vista economico, perché sono troppe poche le persone che soffrono di una determinata malattia. Per stimolare la ricerca gli Stati incentivano con detrazioni fiscali le aziende farmaceutiche che li mettono a punto.
I farmaci orfani in Italia
«Sono più di 500 i farmaci orfani in sperimentazione, al momento sono 79 le molecole disponibili. Il 5% della spesa farmaceutica italiana è per i farmaci orfani, stiamo parlando di 1.200.000.000 di euro. Un numero straordinario – spiega Dallapiccola – Non dimentichiamoci che il 24% degli studi clinici rivolti alla malattie rare è fatto in Italia, il 30% dei farmaci biotech viene sviluppato in Italia e non dimentichiamoci che il primo farmaco di terapia genica è italiano».
Contro le malattie rare anche farmaci “tradizionali”
«Fortunatamente non abbiamo solo i farmaci orfani contro le malattie rare, altrimenti con 79 molecole non potremmo trattarne molte come oggi facciamo: ci sono molte molecole tradizionali, circa 400, che vengono usate nei pazienti con malattie rare, come ad esempio i farmaci antiepilettici. I pazienti vengono curati anche con interventi chirurgici, terapie cellulari e riabilitazione. Tutti i pazienti rari beneficiano di una serie di trattamenti che sono anche per altre malattie».
Coinvolgimento dei pazienti nella ricerca
«Due anni fa con Uniamo abbiamo fatto un corso per formare un gruppo di pazienti su come avviene la sperimentazione, su come entrare nei progetti di ricerca. Uno dei modi per esprimere il valore dei pazienti è quello di coinvolgerli direttamente. Sono molto utili nei trainare la ricerca nei loro bisogni: sono una guida fondamentale».
Francesco Bianco
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