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Esostosi: cos’è, i sintomi, le cause, i consigli e le cure

Si tratta di una malattia che si manifesta a partire dai due anni e mezzo, colpisce le estremità delle ossa lunghe e può essere trattata chirurgicamente

Durante il bagnetto al vostro bambino vi siete accorti che sul suo addome, a livello delle costole, sono presenti delle strane “protuberanze”, piuttosto anomale e dure come delle ossa? Potrebbe trattarsi di esostosi, una malattia genetica che colpisce le ossa e le articolazioni fin dalla tenera età e che si manifesta attraverso vere e proprie deformazioni visibili a occhio nudo.
Luca Sangiorgi, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Genetica Medica e di Malattie Rare Ortopediche dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, spiega quali sono le cause, a chi bisogna rivolgersi quando insorge la patologia e se può avvenire una degenerazione maligna.

Che cos’è l’esostosi?

È una malattia delle cartilagini di accrescimento, cioè gli strati di tessuto cartilagineo interposti tra la parte lunga delle ossa e le loro estremità, che causa una deviazione dell’asse di crescita delle ossa lunghe, a livello della parte terminale (epifisi). Per semplificare si può dire che, con questa patologia, le ossa lunghe non crescono perpendicolarmente come se fossero dei pali della luce ma, nella zona finale, presentano dei piccoli rametti coperti da un cappuccio di cartilagine.

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Lei ha parlato di ossa lunghe. Nello specifico, dove si formano maggiormente le esostosi?

Si sviluppano a livello delle estremità delle ossa lunghe, coinvolgendo in particolare la regione del ginocchio, del polso, del gomito, della scapola e dell’anca. L’unica zona che non può essere colpita dalla patologia è quella del cranio perché non ci sono cartilagini di accrescimento: al massimo, sulla zona frontale possono comparire altre ossificazioni, chiamate osteomi, che sono causate da un ispessimento della corticale ossea e che portano alla formazione di una “bozza” ben visibile. Spesso vengono diagnosticate come esostosi sebbene non abbiano le stesse caratteristiche (non presentano il cappuccio cartilagineo e non possono avere degenerazione maligna).

Conosciamo le cause?

Sappiamo che la patologia è scatenata da una mutazione in alcuni geni che si chiamano EXT1 ed EXT2, che portano alla sintesi delle catene proteoglicani e eparansolfati. Questi fungono da “pontile”, da punto di attracco, per i fattori di accrescimento della cartilagine, cioè proteine capaci di stimolare la proliferazione e la differenziazione cellulare. La nostra ipotesi è che se questi due geni sono meno “efficienti”, questi “pontili” sono più corti e i fattori di accrescimento non sanno dove attraccare e continuano a restare in circolazione. Tutto ciò causa una crescita disordinata della cartilagine di accrescimento e quindi la formazione di queste esostosi.

Qual è l’incidenza?

Se ci affidiamo esclusivamente ai testi, si parla di 1 persona con esostosi su ogni 50.000 nuovi nati. In realtà, dalle valutazione che stiamo facendo incrociando i dati provenienti dal registro dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna (che, con i suoi 1.400 pazienti “schedati”, è il più grande al mondo) e dai registri di popolazione, scopriamo che la patologia riguarda 1 individuo su ogni 30.000 nuovi nati.

A che età si manifestano?

Generalmente le esostosi si presentano intorno ai due anni e mezzo/tre. Di solito i genitori se ne accorgono perché, durante il bagnetto quotidiano, percepiscono la presenza di queste “bozze” a livello delle costole del bambino. Questa, infatti, è la prima zona a essere colpita. In realtà, successivamente le esostosi scompaiono dalle costole e iniziano a comparire alle estremità delle ossa lunghe.

Esistono esostosi solitarie ed esostosi multiple: qual è la differenza?

L’esostosi solitaria è un difetto “locale” della cartilagine di accrescimento, riscontrato dall’1% della popolazione: molto spesso si scopre di avere questa formazione ossea rivestita da cartilagine solo quando si va al pronto soccorso per un banale trauma e ci si sottopone a una radiografia. L’esostosi multipla, invece, è una malattia genetica, quindi a trasmissione familiare, e comporta la presenza fino a 200 di queste escrescenze in tutto lo scheletro.

A chi bisogna rivolgersi quando si manifesta?

Il paziente deve rivolgersi a un team multidisciplinare (che comprenda, ad esempio, un genetista per la diagnosi, un ortopedico per il trattamento, un fisiatra per la riabilitazione) in modo tale da affrontare la malattia a 360 gradi. Questo evita alla persona anche i pellegrinaggi dai vari specialisti singoli che spesso non hanno un punto di vista omogeneo.

A quali esami viene sottoposto il paziente?

Allo stato attuale dei fatti, oltre al prelievo di sangue per la diagnosi genetica è importantissima anche la valutazione radiologica. Per i controlli nel lungo periodo, ci stiamo attivando per evitare che i pazienti siano sottoposti a un numero eccessivo di radiografie, optando invece per la risonanza total body.

Esistono problemi correlati a questa patologia?

Purtroppo sì. Possono emergere disturbi “fisici” legati prevalentemente alla pressione esercitata dalle esostosi su tendini, vasi sanguigni e nervi. Quando questa malattia interessa, ad esempio, ulna e radio, si può verificare una deformità dell’avambraccio che causa, a sua volta, forti limitazioni dal punto di vista funzionale per quel che riguarda la mano.

Ogni quanto andrebbero controllate le esostosi?

Dipende da paziente a paziente. L’Istituto Ortopedico Rizzoli sta cercando di incrociare varie fonti di dati (provenienti dalla storia familiare e clinica, dalle analisi genetiche, dalla diagnostica radiologica) per rendere più preciso il follow-up, cioè l’insieme di visite mediche, controlli ed esami ai quali si dovrebbe sottoporre periodicamente il paziente per monitorare una patologia. Questo è molto importante perché, grazie a nuove valutazioni, il malato potrebbe essere visitato ogni 18/24 mesi anziché ogni 6, a seconda della situazione personale.

È possibile che avvenga una degenerazione maligna?

Sì, in una percentuale che si aggira tra lo 0,5% e il 2% della popolazione.

Esiste una cura?

La cura, allo stato attuale dei fatti, è esclusivamente di tipo chirurgico. Fino a qualche anno fa si consigliava la rimozione quando l’esostosi creava problemi dal punto di vista della funzionalità; oggi stiamo cercando, attraverso l’analisi dei dati di cui parlavo prima, di prevedere lo sviluppo delle esostosi e di intervenire a scopo preventivo (onde evitare che la deformità possa aggravarsi e determinare delle gravi limitazioni funzionali).

A che punto è arrivata la ricerca?

Noi coordiniamo un consorzio europeo (nel quale sono presenti anche Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Israele e Belgio) per cercare di valutare le cause che portano l’esostosi alla trasformazione maligna. Stiamo lavorando anche per identificare eventuali molecole che, intervenendo per tempo sulla cartilagine di accrescimento, possano inibire lo sviluppo delle esostosi: la questione è piuttosto critica perché, se inibiamo anche la cartilagine di accrescimento, si corre il rischio di bloccare la crescita del paziente. Dobbiamo quindi trovare delle strategie terapeutiche che possano essere selettive soltanto per le esostosi, in particolare quelle che creano un abbassamento della qualità della vita dei pazienti.

Chiara Caretoni

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