Seppure le campagne di prevenzione per l’abuso di alcol abbiano fatto breccia e nell’ultimo decennio anche in Italia il consumo di alcol pro-capite sia diminuito, ancora non è abbastanza. In occasione dell’Alcohol Prevention Day di quest’anno, il 16 aprile, si torna a parlare delle categorie di alcoldipendenti che sono recentemente emerse: le donne e i giovanissimi. In Italia il numero dei consumatori a rischio, considerati come coloro che bevono più di uno o due bicchieri di alcolici al giorno, raggiunge i 7 milioni e 850 mila tra tutte le fasce di età. Difficile tracciare un identikit dell’alcolista-tipo.
Nel 2010 una ricerca inglese pubblicata sulla rivista The Lancet mostrava, per la prima volta, che l’alcol è la sostanza il cui danno sociale è maggiore di cocaina, eroina, crack e più dannoso alla salute di gran parte delle droghe illegali, soprattutto per i giovani. Il dato, negli anni, è rimasto pressoché invariato e in Italia oggi l’alcol alla guida è ancora la prima causa di mortalità tra i giovani. Eppure le stime parlano di quasi un milione di giovani italiani a rischio alcolico, almeno 400 mila quelli che ricorrono al ‘binge drinking’, il bere a scopo di ubriacarsi con più di sei drink in un’unica occasione, e 6 mila ‘drunkoressiche’, nuovo fenomeno in cui le adolescenti scelgono di sostituire il cibo con l’alcol anche per non ingrassare. «Oggi l’1% degli alcoldipendenti in carico ai servizi di recupero ha meno di 18 anni, giovani che hanno avuto modo di consumare in modo rischioso l’alcol per anni senza mai essere intercettati da un medico, un famigliare, il pronto soccorso o le istituzioni», specifica Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale ALCOL – CNESPS dell’Istituto Superiore di Sanità. «Se assistiamo a questo tipo di problema è perché per l’intossicato da alcol che arriva al pronto soccorso non vengono spesso previsti protocolli gestionali attraverso cui “agganciare” la persona prevedendo la possibilità di parlare con un medico o psicologo per riuscire a distinguere la bravata di una sera da un problema che può condurre alla dipendenza. Si fa poco per sottrarre il giovane al mondo liquido che li sommerge e ai rischi dell’alcol. Nonostante le norme e i richiami delle strategie europee è considerato accettabile l’organizzazione di eventi musicali o sportivi per i giovani sponsorizzati da bevande alcoliche per la cui pubblicità si spendono in Italia oltre 300 milioni di euro in investimenti pubblicitari per prodotti alcolici spesso rivolti proprio ai consumatori giovanissimi».
Quando il piacere di ‘farsi un bicchierino’ lascia il posto a un problema di dipendenza? La risposta non è semplice, soprattutto perché l’alcol agisce lentamente sul sistema nervoso centrale e la vera dipendenza fisica, quella riconoscibile dalle crisi di astinenza con tanto di tremori, dolori ossei e muscolari e brividi freddi, può subentrare dopo molti anni di eccessi. «Il punto critico è nell’approccio all’alcol. Si può essere spinti a bere da motivazioni ‘sane’, legate al piacere di gustare un buon vino, un brindisi per festeggiare o un momento sociale e conviviale di un’occasione particolare», spiega Luigi Janiri, dell’istituto di psichiatria e psicologia dell’Università Cattolica di Roma. «Chi ha un approccio insano, invece, ricorre alla bottiglia per smorzare l’ansia, togliere le inibizioni, alcuni lo usano come apparente antidepressivo, molti cocainomani come calmante quando sono ipereccitati dalla droga. Alla base di questa relazione sbagliata con l’alcol vi sono disagi psicologici che, quando non curati adeguatamente, cronicizzano, si amplificano e fanno apparire il bicchiere come l’unica autocura possibile. Con queste motivazioni il passo verso la dipendenza può essere breve». Se nel secolo scorso l’alcolismo era considerato un vizio e chi eccedeva, diventandone schiavo, rischiava di essere internato in manicomio, oggi è riconosciuto come un fenomeno complesso dal forte impatto sanitario e sociale, al pari di una malattia. L’approccio all’alcoldipendenza sta cambiando, tanto che l’American Psychiatric Association, punto di riferimento per le linee guida sulle malattie mentali e dipendenze, non fa più differenza tra i forti bevitori (donne e uomini che bevono rispettivamente più di 3 o 5 bicchieri di alcolici al giorno) e gli alcolisti: che si beva tanto o tantissimo, oggi si preferisce parlare di ‘forme di dipendenza’, di diversa entità. «La dipendenza fisica si riconosce quando non si riesce a ridurre la quantità di alcol consumata nemmeno se lo si desidera, a fronte di richieste altrui o su consiglio medico in caso di disturbi fisici», conclude lo psicologo. «I segnali più evidenti sono le crisi d’astinenza e l’aumento della tolleranza, ovvero l’organismo sopporta quantità di alcol sempre più crescenti. Molti alcoldipendenti, però, non arrivano a questo punto ma hanno solo dipendenza psicologica, con desiderio compulsivo nei confronti dell’alcol e la perdita di controllo del bere».
[da OK Salute e benessere – gennaio 2015]