Produrre “pezzi di ricambio” per il corpo umano? «Si… può… fare!», proprio come gridava Frankenstein Junior nel mitico film di Mel Brooks. Basta avere a portata di mano una speciale stampante 3D, come quella messa a punto dal pioniere della medicina rigenerativa Anthony Atala, nei laboratori del Wake Forest Baptist Medical Center di Winston-Salem, in North Carolina.
Dopo dieci anni di ricerche ed esperimenti, è bastato pigiare un tasto per dare forma ad un orecchio di bambino, un frammento di mascella ed un muscolo. Tutti “pezzi di ricambio” fatti su misura e assolutamente vivi, capaci di resistere e funzionare anche dopo essere stati trapiantati (per prova) nel corpo di un topo.
Lo straordinario risultato, pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, apre uno scenario davvero fantascientifico che potrà trasformare in realtà la medicina rigenerativa, dando una sforbiciata alle lunghissime liste di attesa che molti malati devono affrontare per ricevere un trapianto salva-vita. La tecnica è ovviamente ancora da perfezionare, ma la strada sembra tracciata.
Il nuovo sistema di bio-stampa in 3D (chiamato “Integrated Tissue and Organ Printing System”, Itop) si è dimostrato in grado di produrre tessuti “personalizzati” prendendo a modello le immagini ricavate da tac e risonanze magnetiche dei pazienti. I suoi ugelli depositano nello stampo un materiale plastico biodegradabile, che serve a dare forma e robustezza al tessuto fino a completa maturazione, e uno speciale “inchiostro” biologico fatto di cellule immerse in una soluzione acquosa. Per permettere la sopravvivenza del tessuto e la sua vascolarizzazione, i ricercatori hanno stampato al suo interno una rete di micro-canali che permettono il passaggio di nutrienti e ossigeno fin tanto che il pezzo trapiantato non viene pervaso da un sistema di capillari sanguigni per essere integrato nell’organismo.
L’idea si è dimostrata vincente, visto che i “pezzi di ricambio” sono stati impiantati con successo sotto pelle nei topi e, a distanza di mesi, hanno mostrato non solo di essere ancora in buone condizioni, ma perfino di aver intrapreso un processo di integrazione con i tessuti vicini, con la formazione di nuovi vasi sanguigni e nervi.
«La tecnica permette di creare tessuti strutturalmente stabili e delle dimensioni adatte: ora – concludono i ricercatori – dobbiamo perfezionarla ulteriormente, anche per poter usare una più ampia varietà di cellule».
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