Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che si manifesta prevalentemente durante l’infanzia e l’adolescenza. É dovuta alla progressiva distruzione da parte di anticorpi delle cellule beta del pancreas, deputate alla produzione di insulina. L’insulina è l’ormone che controlla i livelli di glicemia, cioè la concentrazione degli zuccheri nel sangue; nutrienti essenziali dell’organismo.
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Differenza diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2
L’eccessiva quantità di zucchero nel sangue (iperglicemia) è il denominatore comune a tutte le forme di diabete, ma sono molte le differenze tra il tipo 1 e il tipo 2. Lo spiega nella videointervista Emanuele Bosi, primario di Diabetologia e direttore del San Raffaele Diabetes Research Institute (DRI) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Cause e fattori di rischio
La causa del diabete di tipo 1 è ancora sconosciuta. Tuttavia, si sa che sono coinvolti fattori ambientali, soprattutto le infezioni virali, e fattori genetici (ereditari). Sono stati anche studiati, ma senza dimostrazioni convincenti, problemi dietetici come allattamento con latte vaccino, carenze di omega 3 o di vitamina D, mentre alcuni ricercatori evidenziano come un forte stress (traumi, infezioni, eventi familiari) possa determinare una compromissione del sistema immunitario e aumentare il rischio di formazione di anticorpi contro le cellule beta. Tra i fattori di rischio principali, parenti di primo grado (genitori, fratelli) con il diabete di tipo 1, altre malattie autoimmuni (ad esempio la tiroidite, l’artrite reumatoide, la vitiligine) oppure patologie autoimmuni sempre tra i parenti di primo grado.
Il ruolo della flora batterica
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che l’intestino possa contribuire a sviluppare il diabete di tipo 1. Secondo risultati di ricerche scientifiche, come una condotta al San Raffaele e pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, gli individui con diabete di tipo 1 hanno un’infiammazione caratteristica e un microbioma che differisce da quello delle persone che non hanno diabete o che hanno malattie autoimmuni come la celiachia. I giovani pazienti colpiti dalla malattia hanno infatti l’intestino sottosopra, con la mucosa infiammata e la flora batterica alterata. Tuttavia, sottolineano gli esperti, non si sa ancora se i segni intestinali siano la causa o l’effetto dell’attacco autoimmunitario che l’organismo scatena contro il pancreas.
Il ruolo delle infezioni virali
Secondo alcuni studi, anche i virus potrebbero rientrare tra le cause ambientali che scatenano l’insorgenza del diabete di tipo 1. L’attenzione è puntata sugli enterovirus, virus umani che colpiscono ad ogni età ma si manifestano in maniera più evidente nei bambini e possono causare ad esempio la malattia mano-piede-bocca, oppure sintomi come febbre e diarrea. Una ricerca britannica ha dimostrato la presenza di frammenti di enterovirus nel pancreas delle persone diabetiche e la loro totale assenza nel pancreas delle persone sane. Questi risultati, però, sono stati messi in discussione da molti ricercatori che non sono stati in grado di riprodurre l’esperimento ottenendo gli stessi risultati. Gli esperti concludono sostenendo che le infezioni da enterovirus sono da prendere in seria considerazione tra le possibili le cause del diabete insulino-dipendente.
Diagnosi
La diagnosi di diabete mellito di tipo 1, diversamente dal tipo 2, avviene quasi sempre in occasione della comparsa dei tipici sintomi d’esordio della malattia: poliuria, polidipsia e polifagia. La diagnosi, poi, viene confermata dal riscontro di valori di glucosio nel sangue (glicemia) superiori a 200 mg/dL e il riscontro nelle urine di zucchero e in alcuni casi di corpi chetonici. Un altro parametro di diagnosi è un valore di glicemia a digiuno maggiore o uguale di 126 mg/dl. Anche la ricerca di autoanticorpi (anti-GAD, anti-IA2 e anti-trasportatore 8 dello zinco) indicativi della natura autoimmune della malattia è un’ulteriore conferma della patologia. Se la patologia insorge in età adulta è più difficile da diagnosticare.
Sono poco utili, invece, i test genetici, come avverte la Società Italiana di Diabetologia. Per il diabete di tipo 1 possono avere qualche senso solo se si hanno molti casi in famiglia. Per quello di tipo 2 i fattori ereditari sono solo uno dei fattori di rischio insieme all’età, al sesso, all’etnia, all’alimentazione, alla sedentarietà, alla glicemia e alla sindrome metabolica.
L’esame del sangue
Prevedere l’insorgenza del diabete giovanile con anni di anticipo, per salvare le cellule del pancreas dalla distruzione e scongiurare il rischio di diventare dipendenti dall’insulina fin dalla giovanissima età: è lo scenario che si prospetta grazie alla scoperta di un anticorpo “spia” in grado di predire la malattia quando il soggetto è ancora sano. Si è infatti scoperto che i giovani pazienti diabetici, già molti anni prima della comparsa della malattia, presentano nel sangue un particolare auto-anticorpo (chiamato oxPTM-INS-Ab) che è diretto contro una forma di insulina alterata da processi ossidativi, ossia “arrugginita” dai radicali dell’ossigeno generati nel corso di un processo infiammatorio. Questa particolare insulina modificata in pratica non viene più riconosciuta dall’organismo come prodotto autoctono e finisce per essere “bombardata” dal sistema immunitario.
Da qualche anno i ricercatori stanno lavorando per sviluppare un test del sangue capace di prevedere il rischio concreto di sviluppare il diabete di tipo 1 individuando questo anticorpo.
Diagnosi in età pediatrica
Nei bambini piccoli il diabete è molto difficile da individuare. Ma la diagnosi in tempi brevi è fondamentale perché la complicanza più grave del diabete in età pediatrica è la chetoacidosi diabetica, causata da un deficit assoluto di insulina, in risposta al quale l’organismo produce quantità significative di corpi chetonici. Quali sono quindi i sintomi a cui i genitori devono fare attenzione e che possono indicare la presenza di diabete nei bambini? E i neonati prematuri hanno un rischio maggiore di contrarre la malattia? Nel video le risposte di Riccardo Bonfanti, pediatra a indirizzo diabetologico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Terapie
Chi soffre di diabete di tipo 1 dovrà sottoporsi per tutta la vita a una terapia insulinica attraverso iniezioni sottocutanee (oggi ci sono insuline della durata di 24-40 ore), dopo il controllo del livello di glicemia, o tramite microinfusori. Questi ultimi sono dispositivi, posti a contatto con la pelle, in grado di monitorare costantemente la glicemia e di rilasciare insulina solo quando serve. Il tutto gestito tramite un sistema di controllo remoto simile a uno smartphone.
Importante è, poi, notare come negli ultimi anni si sia capito che anche il diabete di tipo 1 possa avere una resistenza all’insulina causata da fattori in passato ritenuti tipici solo del tipo 2, come il sovrappeso. Questo fa sì che in qualche situazione di tipo 1 all’inizio possa esserci un miglioramento aggiungendo, oltre all’insulina, la metformina.
Per alcuni pazienti si può arrivare a pensare al trapianto di pancreas o di isole pancreatiche. Non c’è ancora un protocollo condiviso ed efficace, invece, per l’utilizzo delle cellule staminali: sono in corso studi, ma ci vorrà qualche anno. Né al momento sono disponibili i vaccini a base d’insulina, testati in Germania, per i bimbi da 6 a 24 mesi con parente di primo grado che soffre di diabete di tipo 1.
Gestione del diabete di tipo 1
Per chi soffre di diabete l’attività fisica e il regime alimentare sono fondamentali e possono regalare soddisfazioni nella vita che si potrebbero ritenere impensabili.
Attività fisica
Se il paziente con diabete di tipo 1 si trova in buone condizioni di salute, allora può praticare qualunque sport, puntando anche a gareggiare con atleti sani. Studi scientifici hanno rilevato particolari benefici dall’attività fisica in acqua. Le linee guida stilate dagli esperti della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) danno indicazioni che sono alla portata di tutti: ogni settimana si dovrebbero fare almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata (ad esempio una camminata a passo veloce) oppure almeno 90 minuti di esercizio più intenso. L’attività fisica dovrebbe essere praticata almeno 3 giorni alla settimana, senza mai poltrire per più di 2 giorni consecutivi.
Seguendo una terapia insulinica che può mandare in ipoglicemia, è, però, necessario che gli sportivi si sappiano regolare misurando di frequente la glicemia. L’attività fisica è sconsigliabile con la glicemia sopra i 250 mg/dl. Oppure se nelle urine sono presenti corpi chetonici, sostanze prodotte dal metabolismo dei lipidi nei casi di scarsità di insulina il cui accumulo può portare a conseguenze pericolose. Si raccomanda di controllare la glicemia prima dell’attività fisica.
Se è sotto i 100 mg/dL e si sono assunti i farmaci ipoglicemizzanti è opportuno intervenire mangiando un pacchetto di cracker o due fette biscottate. Poi si torna a verificare la glicemia dopo 30-40 minuti. Se lo sforzo fisico è prolungato, allora è opportuno continuare a controllare la glicemia anche durante l’attività, magari a intervalli di mezz’ora, specialmente se si è nelle prime fasi dell’allenamento. Per evitare la scomodità della puntura al dito, oggi sono disponibili anche nuovi strumenti per il monitoraggio continuo della glicemia. Bisogna bere molta acqua prima, durante e dopo l’allenamento; poi fare uno spuntino anche dopo l’attività fisica.
Dieta
Per quanto riguarda la dieta, infine, bisogna mangiare prevalentemente verdura, frutta, cibi cucinati alla griglia e al vapore, con solo olio crudo; da bandire fritti e sughi elaborati, da limitare insaccati e formaggi che sono ricchi di sale, mentre pasta, pane e riso devono essere preferibilmente integrali. È utile che il diabetico di tipo 1 conosca l’indice glicemico dei cibi che consuma per regolare la quantità di insulina da somministrarsi.