Ogni anno, il 5 maggio, ricorre la giornata dedicata all’igiene delle mani per la prevenzione delle infezioni. Spesso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità durante questa ricorrenza si rivolge agli operatori sanitari e alle strutture in cui lavorano affinché si proteggano i pazienti e l’efficacia delle cure. Il lavaggio corretto e puntuale delle mani limita la diffusione di virus e batteri, oltre che contrastare il fenomeno dell’antibiotico-resistenza.
Le mani, infatti, possono esser considerate un microbioma quasi alla pari di quello intestinale, ossia un ecosistema popolato da miliardi di microrganismi che può avere un impatto sulla salute umana. Specie nella stagione fredda, in cui circolano maggiormente agenti infettivi a trasmissione aerea.
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Quando lavarsi le mani in ospedale
- prima del contatto con il paziente
- prima di eseguire una manovra asettica
- dopo l’esposizione a un liquido biologico
- dopo il contatto con gli oggetti o l’ambiente che sta attorno al paziente
- al letto del paziente o laddove viene erogata la cura.
Quando lavarsi le mani tutti i giorni
- prima di preparare da mangiare;
- prima di mangiare;
- prima e dopo essere stati vicini a qualcuno che è malato;
- prima e dopo aver medicato una ferita;
- dopo essere andati in bagno;
- dopo aver cambiato il pannolino a un bambino;
- dopo aver starnutito o dopo essersi soffiati il naso;
- dopo aver viaggiato su un mezzo pubblico;
- dopo aver toccato un animale;
- prima e dopo essersi tolti la mascherina e/o i guanti
Come vanno lavate le mani?
La cosa migliore è lavarsi con acqua e sapone. È importante insaponarsi bene, dopo essersi bagnato le mani sotto l’acqua corrente, e sfregarsi per almeno 40-60 secondi, insistendo particolarmente negli spazi tra le dita e sotto le unghie.
Naturalmente sciacquarsi bene le mani e asciugarle con un panno pulito oppure con un getto di aria calda.
Igiene delle mani e coronavirus
Lavarsi le mani è una delle azioni più efficaci per ridurre la diffusione degli agenti patogeni e prevenire le infezioni, compresa quella causata dal coronavirus.
I virus, infatti, possono rimanere attivi alcune ore anche al di fuori del corpo umano. Se si stringe la mano di una persona contagiata da un virus e poi ci si tocca il viso, e in particolare il naso oppure gli occhi, si può consentire al virus di penetrare nel nostro organismo e infettarci.
Perciò in generale, ma soprattutto nei periodi pandemici, è meglio non avere contatto con gli altri se si ha il timore possano essere contagiati da un virus e si raccomanda di lavarsi le mani accuratamente tutte le volte che si incontrano terzi, soprattutto se si utilizzano i mezzi pubblici o si frequentano ambienti affollati.
Lavarsi le mani: quale sapone?
Il sapone antibatterico è efficace quanto il sapone normale. Tra l’altro, utilizzare troppo spesso l’antibatterico potrebbe favorire lo sviluppo di ceppi resistenti al prodotto antimicrobico. L’utilizzo di soluzioni antisettiche, invece, è raccomandato solo agli operatori sanitari prima di un intervento chirurgico.
Cosa fare se non si hanno acqua e sapone
In questi casi è utile ricorrere alle soluzioni alcoliche, meglio se in gel. Sfregate il palmo destro sul dorso della mano sinistra con le dita intrecciate e viceversa. Poi strofinate la punta delle dita di ogni mano contro il palmo della mano opposta. Infine sfregate fino a completa asciugatura. La frizione con soluzione alcolica deve durare complessivamente 20 secondi.
Lavarsi le mani è utile contro l’antibiotico-resistenza
Lavarsi le mani è spesso la soluzione per aiutare la prevenzione delle infezioni, anche quelle causate da super-batteri. È quindi una buona pratica per ridurre l’antibiotico-resistenza.
L’Oms lancia un appello ai governi e alle strutture sanitarie per rinforzare i programmi di controllo e prevenzione delle infezioni. «Le infezioni prese nelle strutture sanitarie sono un grave problema di salute pubblica, che colpisce centinaia di milioni di persone nel mondo» rileva Mahmoud Fikri, direttore Oms per l’area del Mediterraneo orientale. «Un paziente su dieci contrae un’infezione mentre viene curato, fino al 32% dopo un intervento chirurgico, di cui il 51% è resistente agli antibiotici».