Ansioso e apprensivo, soprattutto sulla salute. Al punto da sfiorare l’ipocondria. Lo sono sempre stato, fa parte della mia natura e del mio carattere. Ma sono convinto che a rincarare la dose sia stata anche una spiacevole situazione vissuta da bambino: un lungo ricovero ospedaliero dovuto a una nefrite.
Avevo solo sette anni, eppure di quel periodo conservo ancora un ricordo molto nitido. E ricordo che, anche se poi si è concluso tutto per il meglio, nei due anni successivi ho dovuto rinunciare a correre, scatenarmi, perfino a praticare sport, come invece, a quell’età, si ama tanto fare.
Credo che quel disagio vissuto in un’età così delicata mi sia rimasto appiccicato addosso. E anche se fortunatamente non mi è più accaduto nulla di particolarmente grave, mi basta ascoltare qualcuno che mi confida i suoi problemi di salute da assorbirli a tal punto da caricarmi d’ansia. Immedesimandomi fino a pensare che potrebbe succedere anche a me o a un mio caro, a come potrei reagire, comportarmi. Per non parlare del disagio che provo quando mi capita di mettere nuovamente piede in un ospedale, anche se per motivi niente affatto preoccupanti, come magari la partecipazione a un’iniziativa di beneficenza.
Va da sé che non appena avverto un minimo sintomo di qualunque genere mi precipito dal medico. È il mio modo di reagire all’ansia: affrontare immediatamente lo spauracchio che me la provoca, senza indugiare. In quel momento accade addirittura che mi si alzi immancabilmente la pressione, al solo pensiero di quello che potrei avere. E poi mi ritrovo invischiato in una serie di esami, controlli e accertamenti interminabili. Non sempre la mia apprensione è risultata infondata. Come ad esempio quella volta in cui mi trovavo a lavorare fuori città e avevo costantemente un po’ di febbriciattola che non si decideva a passare, accompagnata da una tosse fastidiosa. Ho consultato un medico del posto, che mi ha assicurato si trattasse solo di stanchezza. Ma quei disturbi non se ne andavano, e io sono profondamente convinto che non si debbano mai sottovalutare i segnali che ci manda il nostro corpo. Oltre al fatto che è sempre meglio ascoltare due pareri professionali invece di uno. Così ho chiamato il mio medico di fiducia, che mi ha consigliato di fare subito una radiografia. Risultato: una broncopolmonite in atto.
Nel quotidiano cerco di condurre uno stile di vita attento e prudente, evitando, ad esempio, stravizi alimentari piuttosto che sport estremi e pericolosi: non ho mai avuto il senso dell’avventura né del rischio, e a un adrenalinico volo in parapendio preferisco di gran lunga una tranquilla partita a tennis. So bene che questo non basta a preservarmi da quello che poi il destino ha in serbo per ognuno di noi, ma almeno non me lo vado a cercare. E in ogni caso, tutto quello che faccio quando sono preoccupato è un sentito segno della croce con due parole dirette al buon Dio: sono profondamente credente e trovo che questo sia l’aiuto migliore che possa ricevere.
Sul lavoro ho l’abitudine di mettere in atto piccoli riti scaramantici. Se ad esempio in un programma televisivo andato bene avevo un certo camerino, lo rivoglio anche nei successivi. Non cambio mai il percorso per raggiungere lo studio, anche se ne esistono altri. Entro ed esco sempre dallo stesso lato. E adesso che sto registrando a Napoli, tengo sempre in tasca qualche tradizionale cornetto rosso portafortuna regalatomi da qualche persona del pubblico. Ciò nonostante, proprio il lavoro pare essere l’unica medicina in grado di placare la mia ansia. Non solo l’entrata in scena non mi provoca alcuna agitazione, ma addirittura mi fa sentire profondamente rilassato e a mio agio. Molto più di un tranquillante o di una tazza di camomilla.
Amadeus
Testimonianza raccolta da Grazia Garlando per OK Salute e benessere novembre 2016
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