Il fabbisogno quotidiano di iodio deve sempre essere rispettato, per un buon funzionamento della tiroide, ancora di più durante la gravidanza e nei mesi che la precedono perché le esigenze cambiano. Quali sono le regole da seguire per mantenere in salute la tiroide e di conseguenza lo sviluppo del feto? Abbiamo chiesto consiglio ad Alfredo Pontecorvi, responsabile del Centro di Medicina per la Procreazione Naturale e direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina Interna, Endocrinologia e Diabetologia del Policlinico Gemelli di Roma.
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Tiroide e gravidanza: che cosa succede durante i mesi di gestazione?
Durante la gravidanza la tiroide è molto più attiva e impegnata, perché deve lavorare non soltanto per la madre, ma anche per il feto. Il monitoraggio della funzione tiroidea, e dell’ormone TSH, è fondamentale non soltanto nei nove mesi di gestazione, ma anche prima, quando si decide di voler avere un bambino.
Il 7-8 per cento delle donne in età fertile soffre di ipotiroidismo, soprattutto subclinico, una patologia che è caratterizzata da una ridotta funzione tiroidea con un relativo aumento dei valori di TSH. Spesso questa condizione, almeno in una prima fase, non dà sintomi specifici. È perciò difficile da diagnosticare se non con esami mirati. Più raro è l’ipertiroidismo, disturbo causato da un’alterata funzione della ghiandola tiroide che produce una quantità eccessiva di ormoni tiroidei.
Le alterazioni della funzione tiroidea in gravidanza possono causare un aumento degli aborti spontanei, parti prematuri e mortalità perinatale. In particolare, se non corretto, l’ipotiroidismo gravidico può causare difetti nello sviluppo intellettivo del nascituro con riduzioni, lievi ma significative, del suo quoziente intellettivo (QI).
Come cambiano le esigenze della tiroide in gravidanza?
Un adeguato apporto di iodio, fondamentale per la sintesi di ormoni tiroidei, è il passo principale verso un corretto funzionamento della tiroide. Il fabbisogno giornaliero di iodio di un adulto sano è di 150 microgrammi, che sale a 250 durante la gravidanza e anche il periodo dell’allattamento.
La cosa importante è che la iodioprofilassi deve essere iniziata già prima di rimanere incinta. La carenza di iodio determina un difetto di produzione di ormone tiroideo che può avere conseguenze sullo sviluppo del sistema nervoso fetale, la cui tiroide è già completamente formata a partire dalla dodicesima settimana di gestazione.
Numerosi studi hanno dimostrato che, in aree a carenza iodica, nei casi in cui la madre non abbia assunto durante la gravidanza una adeguata quantità di iodio, i nascituri hanno sviluppato, anche se di poco, un QI inferiore rispetto ai nati da madri con regolare apporto iodico. Inoltre, la carenza gravidica di iodio è stata associata ad una più alta prevalenza di bambini affetti dalla sindrome da deficit di attenzione ed iperattività.
Iodioprofilassi: come assumere la quantità di iodio adeguata?
Lo iodio si trova principalmente nel sale iodato, ma è presente anche nei prodotti ittici e nelle alghe. Non è invece presente, al contrario di quanto spesso si creda, nell’aria di mare, che ne contiene una quantità irrilevante. Il consiglio è quindi di consumare poco sale, ma iodato. In gravidanza possono essere prescritti dal proprio ginecologo integratori specifici, che oltre a contenere acido folico e altri componenti importanti per una corretta gestazione, garantiscono in genere un ulteriore apporto di iodio.
Che cosa fare se si soffre di iper o ipotiroidismo e si rimane incinta?
L’ipertiroidismo è una patologia più rara rispetto all’ipotiroidismo, colpisce meno dell’1 per cento, ma è molto più facile da diagnosticare perché i sintomi sono chiari ed evidenti: tachicardia, dimagrimento, iperattività sono tra i disturbi tipici di questa condizione. Ma bisogna stare attenti a fare la giusta diagnosi poiché gli stessi sintomi possono essere causati dallo stato gravidico di per sé. L’ipertiroidismo è spesso associato a problemi d’infertilità e a un maggior rischio di aborto. La cura è a base di farmaci antitiroidei che bloccano la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei prodotti in eccesso.
L’ipotiroidismo è invece più subdolo nella sua sintomatologia e, quindi, più difficile da diagnosticare, anche se è molto più frequente dell’ipertiroidismo. Per diagnosticarlo basterebbe misurare il TSH che, se elevato, è patognomonico di questa malattia. Esso, a mio avviso, andrebbe misurato in tutte le donne che desiderano una gravidanza, prima che restino incinta. Oppure, se già in stato interessante, il prima possibile. Se viene diagnosticato un ipotiroidismo occorre subito rivolgersi a un endocrinologo che instaurerà l’opportuna terapia ormonale sostitutiva necessaria al buon andamento della futura gravidanza e al normale sviluppo embrio-fetale.
Che cosa è la tiroidite post-partum?
È una patologia che nella maggior parte dei casi è reversibile e colpisce oltre il 5 per cento delle donne subito dopo il parto. A una prima fase di ipertiroidismo può seguirne una seconda di ipotiroidismo ed entrambe possono rappresentare una concausa della famosa depressione post-partum. Nel 85-90 per cento dei casi la patologia si risolve spontaneamente, anche se a volte può essere necessario un periodo di terapia ormonale. Nel 10-15 per cento dei casi si può invece assistere allo sviluppo di una vera tiroidite cronica autoimmune. Si tratta della tiroidite di Hashimoto, la causa più frequente di ipotiroidismo nell’adulto.