Nei giorni scorsi vi era preso un colpo a leggere dell’abbassamento dei valori per il colesterolo “cattivo” LDL? Oggi potete finalmente tirare un sospiro di sollievo. Perché a guardare bene le linee guida della Società europea di cardiologia, i limiti non sono poi così rigidi e categorici come erano sembrati in un primo momento.
E ci sono anche modi molto gustosi per raggiungerli. A spiegarlo è il farmacologo Alberico Catapano, Presidente della Società Europea per lo Studio dell’Aterosclerosi.
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I valori non sono così “rigidi”
«I 100 milligrammi di colesterolo cattivo per decilitro di sangue non sono un limite rigido», rassicura l’esperto. «Chi è a basso rischio (e lo è l’85% degli italiani) può scendere a 115, ma chi ha 130 non deve spaventarsi. Deve scendere sotto i 100, invece, chi è ad alto rischio e si trova a 190. Se poi è ad altissimo rischio, nel senso che è diabetico o ha già avuto campanelli d’allarme, allora sì, è bene che scenda a 70 o anche a 50 milligrammi per decilitro».
Bisogna metter mano alla dieta
Per raggiungere questi obiettivi, le linee guida propongono due livelli di azione. Il primo è ovviamente quello della dieta, che va rivista e personalizzata in base ai traguardi che si vogliono raggiungere, a seconda che si punti ad abbassare il colesterolo alto complessivo oppure ad aumentare quello HDL, il cosiddetto “colesterolo buono”. Qui, oltre alle consuete raccomandazioni generali di ridurre grassi, i cardiologi offrono nuove indicazioni sugli alimenti da preferire o da evitare sulla base della loro efficacia specifica, scientificamente dimostrata. A partire dai condimenti, che a tavola tanto marginali poi non sono.
Il miglior condimento
Il “re” incontrastato rimane ovviamente l’olio extravergine di oliva, la prima scelta per chi desidera seguire una dieta di tipo mediterraneo. Catapano, però, sottolinea anche la qualità di aceto e senape, spesso un po’ dimenticati, e ricorda anche i possibili effetti negativi di cocco e oli tropicali. E aggiunge che «la soia, che spesso i cittadini introducono nelle diete, non serve a niente».
Maggior aderenza alla terapia
«Dall’altro lato – continua il professore – se la dieta non basta ed è necessario ricorrere ai farmaci, serve una maggiore aderenza alla terapia. È stato dimostrato infatti – continua Catapano – che dopo 6 mesi dall’inizio della cura solo il 75% dei pazienti con sindrome coronarica acuta la segue regolarmente e il 70% degli infartuati, addirittura poco più del 50% fra quelli in prevenzione primaria. Dopo un anno le percentuali si abbassano ancora: rispettivamente al 50% nel primo caso, poco più del 40% nel secondo e meno del 30% nella prevenzione primaria. E dopo 2 anni i numeri si riducono ulteriormente: a 40%, poco oltre il 30% e al 20%».
Per il farmacologo milanese «si tratta di percentuali molto basse, influenzate anche da alcuni fattori predisponenti. Come l’età elevata, il profilo socio-culturale medio-basso, la depressione, la prescrizione di dieci o più farmaci e l’assenza di eventi acuti nell’ultimo anno. Tanto che nelle nuove linee guida – conclude l’esperto – abbiamo inserito in quest’ambito suggerimenti su come aumentare l’aderenza anche ricorrendo a promemoria e terapie combinate».
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