Anche se si è tra i fortunati che godono di una pressione ottimale (SCOPRI qui i valori), con il sale è sempre meglio non esagerare: può fare più danni di quanti se ne possono immaginare, e non solo a cuore e arterie. Lo ricorda uno studio appena pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology che ha revisionato, attraverso le evidenze raccolte in precedenti ricerche, l’impatto di una dieta ricca di sodio sul buon funzionamento dell’organismo, a lungo termine.
Secondo i ricercatori dell’Università del Delaware si potrebbe suddividere la popolazione in ‘sensibili’ e ‘insensibili’ al sale: nei primi si assiste a un aumento di pressione arteriosa quando l’apporto di sale quotidiano è eccessivo e prolungato nel tempo, mentre i secondi sarebbero resistenti alle concentrazioni di sodio mantenendo i valori nella norma. Anche senza la pressione alta a fare da campanello d’allarme, una dieta ipersodica può comunque danneggiare silenziosamente tessuti e organi.
I potenziali effetti sull’apparato cardiovascolare sono ben noti: con il tempo, il troppo sodio riesce a irrigidire le pareti di vasi e arterie. Si altera così la funzionalità dell’endotelio, il rivestimento interno di vasi e arterie che media una serie di processi fondamentali come la coagulazione, l’aggregazione di piastrine e anche l’immunità, a scapito di pressione arteriosa e circolazione. «Una dieta ricca di sodio può anche portare all’ipertrofia del ventricolo sinistro o a una dilatazione del tessuto muscolare cardiaco preposto al battito», ha spiegato il team di ricerca.
Ma l’impatto negativo di una dieta ipersalata non finisce qui e può estendersi ad altri organi. Come i reni: sempre più evidenze scientifiche sottolineano che alte concentrazioni di sodio riducono la funzionalità renale, un deficit che è associato solo a un minimo aumento della pressione arteriosa. O come il sistema nervoso simpatico che adatta l’organismo alle situazioni di emergenza secondo meccanismi di reazione ‘attacco o fuga’ come accelerare i battiti, il respiro o dilatare le pupille. «Un apporto elevato e cronico di sodio può ‘sensibilizzare’ i neuroni simpatici nel cervello causando una maggiore risposta a vari stimoli, tra cui la contrazione dei muscoli scheletrici», spiega Farquhar. «Anche senza l’aumento di pressione, un’aumentata attività simpatica può avere conseguenze negative su alcuni organi».
Togliere il sale dalla tavola è un’efficace strategia di prevenzione ma può non bastare: il 70 per cento del sodio nel piatto, sottolineano i ricercatori, proviene da cibi processati, alcuni ‘insospettabili’ come pane e cereali. Secondo il recente avviso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità l’apporto quotidiano di sale non dovrebbe superare i 5 grammi al giorno.
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